di Giancarlo Nino
Un progetto intrigante e assai curioso. Un bravo a Mondo Marcio lo dobbiamo, credo.
Il rap non è esattamente il mio genere ma, vuoi o non vuoi, accendi la radio e te ne ritrovi la testa e le orecchie piene. Pare vada assai di moda: tutte le signorine bene (si fa per dire) dello scenario pop contemporaneo, dalla iconica Madonna fino alle più plastificate e insipienti starlettes debuttanti sembra sentano la necessità di rimpinzare i propri pezzi di inserti rappeggianti griffati dagli autori più trendy del momento. E non si può non ricordare che Mina, ben 17 anni fa, quando in Italia il genere si limitava ad un fenomeno quasi folcloristico per soli appassionati di musica da strada americana, cantava insieme alle Voci Atroci quel gioiellino di Suona Ancora.
Un fiuto che ha quasi del diabolico.
Dicevo, bravo Mondo Marcio. Soprattutto, per quel che mi riguarda, per aver sottolineato in questo progetto (almeno così mi pare da quei due frammenti che circolano in rete, ma l’ascolto completo sarà più illuminante) un carattere che noi fan di Mina conosciamo bene. La capacità di certi pezzi della Tigre di entrare nel linguaggio parlato. Capita spessissimo a me, ma giurerei di non essere il solo, di venire spesso còlto da reminiscenze musicali mentre parlo. Mi spiego: se, per caso puro, sento dire “Che senso ha?”, come un moto spontaneo nella mia mente fa eco il motivetto “Na na na naaaa” sulle note di E poi. O se una frase termina con “Porta aperta” mi vien spontaneo completarla con “A guardare sui campi”. O anche, semplicemente, per dire che il caffè viene su mi viene in mente Il plaid, per lamentarsi della fila al supermercato non si può evitare Ma chi è quello lì?, per una folata di vento che porta ad alzare il “bavero” penso alla Vita vuota. E’ un giochino simpatico e involontario che ci coglie
all’improvviso senza pensarci troppo, a seconda delle circostanze, dell’umore, dei gusti musicali nostri quello di portare nel parlato frammenti di musica che stanno in testa, appiccicare note che conosciamo a memoria alle cose della vita quotidiana.
Certo, è un istinto che coglierà non solo i fan di Mina. Ma per lei la storia è diversa: più di mezzo secolo di musica (tantissima musica) scritta da frotte di autori ci assicura una fraseologia musicale ricchissima, variegata fino all’inverosimile, a dir poco eterogenea. Tutti i livelli sono coinvolti. Da quello più aulico e poetico (mi viene in mente un delizioso “Brivido rovente”) a quello più vicino al quotidiano (la “spesa magica” di Bignè), alla sgrammaticatura spensierata (“Cosa darei se così riderai di lei”) fino agli effettacci sanguigni (“Semplicemente tua”). Innestati sui mood più diversi, dalle malinconie più profonde alle ilarità più garrule. Stampati sulle tele più disparate, dall’impressionistico bicchiere di Gin in mano a Rudy, fino al postmoderno “stomaco di un bar” (“a parlar con un caffè”…). Inevitabilmente l’orecchio attento e premuroso ne assorbe i contenuti e le forme, li metabolizza e li riadatta ai propri linguaggi e bisogni.
Mi sembra di scorgere in questo “Nella bocca della Tigre” una cosa analoga. Alla voce parlatissima di Mondo Marcio fa da contrappunto quella (spudoratamente musicale) della Signora. Si parla di fughe e affiora la domanda spontanea “Quando te ne vai?”, le tre semplici parole “Più di così” fan partire il ritornello del pezzo omonimo di Catene.
E’, in un certo senso, un modo per rimarcare il potere evocativo di certe canzoni della Nostra, cospargere un intero disco di schegge musicali che riaffiorano nella trama tortuosa delle parole, all’interno di un album che credo si possa definire “concept”. Il cui autore sembrerebbe lontanissimo dal mondo musicale di Mina (ammesso che ce ne sia uno solo).
Ennesima prova di quanta caleidoscopica modernità ci sia nella voce di una certa ragazza di nome Baby Gate.