IL CORAGGIO DELLA GIOVINEZZA
di Alessandro Basso
Gli impegni, il lavoro, le scadenze prefissate, l’onnipossente dicembre che tutto ti scaraventa addosso come ottima conclusione dell’anno, mi hanno impedito di gettarmi subito sul foglio, simile ad un cane che si getta sull’osso, per scrivere le impressioni che Gassa d’amante mi ha suscitato. Nell’attesa di fermare sulla pagina bianca le impressioni, ma prima di ogni cosa, di ascoltare con la dovuta calma il nuovo lavoro di Mina, mi sono trovato come un disperso nel deserto dell’attesa così che tutti avevano già detto quello che avrei voluto dire anch’io: voce miracolasa, ricercatezza delle scelte musicali, generosità nel proporre degli inediti, rinnovato vigore, occhio all’attualità, magari un po’ di sano immobilismo nella comfort zone dorata dell’eccezionalità, ma per il resto tutto stupendo. Nulla da eccepire, neppure sotto tortura. E del resto, inutile a dirlo, stiamo parlando di Mina. Non fa neppure più conto che si sprechino disquisizioni sulla sua straordinaria figura: tanto più che è uscito un libro di saggi sull’argomento.
Mina ti apre gli occhi. Ti stura le orecchie: ti riporta a ragionare sul senso stesso, intimo, profondo, essenziale, capitale della musica e delle sue declinazioni. C’è differenza, infatti, fra chi pubblica, anzi produce, per vendere e chi, di contro, produce per emozionare, trascinare, commuovere, donare e donarsi, in definitiva, per restare. Nella mole immensa di tutto quello che ascoltiamo, vediamo e leggiamo – un mare magnum di video, di preview, di duetti improbabili, di accoppiate ingiustificate, di “canzuncelle” (si perdoni il romantico napoletano) neppure canzonette, scritte, cantate e orchestrate (non esageriamo…) per tirare il clik – ci pare davvero un’aliena quella cantante (lo dovremmo scrivere con la maiuscola ma evitiamo reazionarismi linguistici) che nell’assenza della sua presenza dedica tanta cura ed attenzione al suo nuovo figlio di canto. È come lo scrittore che scrive un romanzo impiegando dieci anni contrapposto a quello che – illudendosi di essere ispirato dall’afflato mistico di un’entità suprema che gli detta, come ad un evangelista, quel che deve scrivere – s’azzarda a pubblicare libri con cadenza semestrale. Mina si gode il tempo senza tempo della sua lontananza dalla frenesia contemporanea. Solo una che ha scelto di andarsenene può guardare con lucidità su quello che ha lasciato dietro alle spalle. Mina fa Mina. Punto. Non ha bisogno di fare altro. Meno fa e più dà. Non si vende, non si svende, non consente che qualcuno la tiri per la giacca. È curata ed accurata. Si lascia leggere. Ci dona la gioia di uscire dalla nostra gabbia del già sentito. Un classico che ritorna ciclicamente come un rito annuale che ha un sapore devozionale, liturgico forse quasi religioso. Ascoltando le canzoni del nuovo album si percepisce quello che gli alessandrini chiamavano labor lime: la levigatura, la rifinitura, il dettaglio. Il ricciolo di un sospiro, la rotazione di una vocale, il ghirigoro di una consonante: la perfetta pronunzia non delle parole, in quanto tali, ma delle parole che trasmettono un significato emozionale e pertanto emotivo e sentimentale. In un tempo di assegnati non è da tutti. Anzi non lo fa più nessuno, non lo sa fare più nessuno. Manca il sangue e la carne: resta lo schermo. È come chi sceglie di essere agnostico non perché ha paura di conoscere Dio ma perché teme di porsi domande che possano fargli venire dei dubbi. In conclusione mi ritrovo a pensare che, oltre alle notazioni di merito – lasciamole ai critici di professione (ormai rari come mosche bianche) – ed oltre alle suggestioni sentimentali (ognuno ha le sue, fortunatamente), la questione, l’affaire MinaMazzini sia tutto concentrato nell’assurdo fatale di una Signora restata coraggiosamente giovane nell’ugola e nella voglia di cantare. Disinvolta e frivola, quanto austera e rigorosa, nell’usare la sua genialità senza ritrosie e senza prevenzioni. Consapevole di essere, in definitiva, ancora una volta, la Voce. Una giovane con un passato così grande da aver anticipato il futuro.
E GIA’ OGNI NODO SI RIANNODA…
di Pietro Bocchi
Appena la puntina del giradischi cala sul solco del primo brano, quello di Concato, capisco da subito, quasi senza pensarci (è l’istinto che entra in campo) che questo disco – già dalle prime note – ha qualcosa di speciale. E per i restanti 38 minuti circa di ascolto, la magia permane e la stanza è così piena e satura di Lei, delle emozioni che emana la sua voce, che il brivido fatica ad andarsene. Mentre gioia e commozione si rincorrono continuamente, stordito e abbacinato da cotanta bellezza, mi chiedo e mi domando come si può mantenere intatto ancora oggi un approccio alla musica di questa portata, con l’aggiunta di una ventata di freschezza da capogiro. L’iconica Mina marittima dell’azzeccatissima copertina coniuga sapientemente nelle dieci tracce una tavolozza così unitaria e compatta di colori, sfumature, chiaroscuri, raramente riscontrabili nei suoi lavori da tanto tempo a questa parte.
Gassa d’amante è un disco pregno di vitalità (me la vedo davanti al microfono quasi stupita essa stessa di far volare la sua voce nei punti esatti delle parole, tra una virgola e l’altra, portando l’ascoltatore in una dimensione quasi surreale). E il piacevole sconcerto nasce proprio dalla percezione che mai come stavolta Mina si sia divertita a cantare, a vivisezionare i testi, evitando qualsiasi prevedibilità di sorta. Il risultato? Un mosaico musicale di rara bellezza laddove non si riscontrano mai momenti minori, Mina che si impossessa prodigiosamente della sua Arte. Gassa d’amante ha inoltre il merito di farci sentire l’interprete ancora più vicina a noi, scalfendo al contempo il concetto di temporalità: questa Mina è riuscita a “giocare” con le note in modo così spontaneo e intelligente da far piazza pulita nel pattume musicale odierno.
Mina, grazie ancora una volta per la preziosa lezione ci hai regalato. Chapeau all’infinito!