Dall’imperdibile articolo di Antonio Bianchi con cui si aprirà il ricco superdossier su Mina Fossati della prossima fanzine vi proponiamo in anteprima un breve estratto dedicato a una delle canzoni-capolavoro dell’album…
di Antonio Bianchi – Elaborazione grafica: Graziano Rimondini
(…) L’esordio dell’album, con L’infinito di stelle, è l’apice, almeno per me. Parte Fossati, che conduce subitaneamente nel suo mondo poetico e musicale, con un minimalismo, una semplicità, una finezza, una compostezza e una evocatività tanto maestosa quanto tenue, trattenuta, controllata. Con Mina – dolce, tenera complice – è come se entrasse la luce. Accarezza, dona profondità, crea chiaroscuri, talvolta abbaglia, talvolta si minimizza in penombra. E illumina il partner. Lo stile è inconfondibilmente fossatiano. Non solo il Fossati degli ultimi album. C’è anche l’Ivano di ieri e dell’altro ieri. Come se l’autore – all’inseguimento del concetto supremo di “canzone” – avesse rimeditato l’intero percorso attingendo anche ai propri anni Settanta, all’album La casa del serpente, a Stasera io qui. C’è una sottile contiguità col brano di apertura di Mina Live ’78. Sarà per l’affinità dei versi di chiusura (“…sono qui”, “…siamo qui”). Sarà perché entrambi si configurano come manifesto programmatico degli album d’appartenenza. Sarà forse per gettare un ponte mnemonico e dichiarare la sopraggiunta maturazione. Che, nel caso di Mina, è eclatante: L’infinito di stelle è cantata meravigliosamente. Addirittura meglio di Stasera io qui, che era più levigata e traslucida ma infinitamente meno tridimensionale ed espressiva (…)