Trent’anni esatti fa, sull’onda dell’entusiasmo per il doppio Rane Supreme, entrava a far parte del Club un neosocio 23enne che di lì a poco sarebbe diventato una delle firme più assidue e autorevoli della fanzine: Antonio Bianchi. In attesa del nuovo imperdibile articolo che il nostro grande amico reggiano – attualmente direttore responsabile del mensile CasAntica – dedicherà nel prossimo supernumero, all’interno del dossier sul Quarantennale del Live ’78, alla carriera live della Tigre dalle prime esibizioni in pubblico con gli Happy Boys alle “dolci ed emozionanti esperienze dal vivo” delle recenti incisioni unplugged, rimaniamo in argomento riproponendovi l’incipit della splendida recensione di 12 che Antonio ci regalò nel numero 75…
di Antonio Bianchi
Non grande. Non grandissima. Gli aggettivi abusati non bastano. Mina, in 12, è “la” singer’s singer, la cantante dei cantanti, la strumentista del canto, la voce dei musicisti, la titolare di sottigliezze interpretative che trascendono la comprensione del volgo. Il grande pubblico ne può intuire la portata. Ma solo in parte. Perché la fruizione di tanta arte è, in fondo, questione elitaria. Non è solo una questione di bravura, di sensibilità interpretativa, di personalità (quella che fa il vero “artista”) e di intelligenza (quella che consente di dare un senso, uno spessore – e un futuro – al talento e all’unicità). Nel caso di Mina c’è anche l’esperienza, c’è il mestiere e c’è la consapevolezza di colori di cui i più (il grande pubblico, molti colleghi, i critici meno preparati, i dj radiofonici “di tendenza”…) non sospettano neppure l’esistenza.
Non è una considerazione di poco conto, perché, di fatto, il mestiere si traduce in una dimensione in più. Mina non è più solo una voce “tridimensionale”. È una “iper-voce”: ha quattro dimensioni.
Lo scotto da pagare? La percezione della quarta dimensione è sensorialmente preclusa ai più. Si può intuire. Si può recepire irrazionalmente. Ma la messa a fuoco comporta attenzione, concentrazione, nozioni e consapevolezze già acquisite. Troppo faticoso per un pubblico che alla musica chiede automatismi, abbordabilità spicciola, bidimensionalità da debuttanti… Esigenze sempre più sentite, sulla scia del progressivo involgarimento culturale italiano. L’analfabetismo di ritorno si è tradotto anche al cospetto del repertorio storico di Mina. Il grande pubblico del 2013 ha gli strumenti per comprendere – al più – lo stile e il repertorio della Mina Ri-Fi (Se telefonando, Sono come tu mi vuoi, Mi sei scoppiato dentro il cuore e dintorni). Lo stile e il repertorio post-Non credere sono troppo impegnativi per un pubblico retrocesso dalle medie alle elementari.
12 è come una bella lezione universitaria impartita a un pubblico privo di licenza elementare. Non è l’album più “complesso” di Mina. Eppure è quello in cui più aleggia il sentore di una presa di posizione – precisa, consapevole – a tinte forti. 12 può pacificamente non piacere. Anzi: sembra fatto apposta per creare fazioni contrapposte. E per rivendicare una dignità artistica senza possibili confusioni. Oltre il ruolo di “insegnante elementare”. Oltre il ruolo di “professoressa di scuole medie inferiori o superiori”. Oltre il ruolo di “titolare di cattedra universitaria”. La Mina di 12 è “docente da dottorato di ricerca”, da PhD (più consono a un american songbook). I contenuti sono permeati delle sottigliezze e del sentore di lussuosa “parzialità” che hanno tutte le discipline all’ennesimo grado di approfondimento dissertate fra pari livello. Come non esistono limiti alla scelta delle dodici “figurine” a colori, così i contenuti musicali non pongono limiti ai livelli di fruizione. Ma in accezione diversa dalle questioni – “orizzontali” – di gusto. Perché 12 è “verticale”. Non abbraccia un pubblico ampio, esteso. Lo circoscrive. Lo delimita. Ma lo scandaglia verticalmente, culturalmente. E non pone limiti alla verticalità, quella incarnata dagli strumentisti innamorati del jazz e dai cantanti di pari livello. (…)
(Da Dodici variazioni sul tema, fanzine 75, febbraio 2013)
Autore: loris