Base Maeba chiama Terra
Oltre a essere una delle firme storiche della fanzine del Minafanclub, Stefano Crippa ricopre magistralmente da decenni nella redazione de Il Manifesto il ruolo di critico discografico che per tanti anni fu appannaggio dell’altrettanto “nostra” (e indimenticabile) Rina Gagliardi. La sua (bellissima) recensione “ufficiale” di Maeba l’avete letta quasi tutti il 23 marzo scorso sulle pagine cartacee e online dell’ultimo, irriducibile quotidiano comunista. Quello che segue è. invece, l’emozionato ‘album di viaggio’ – più “da fan” che “da giornalista” – che Stefano ha redatto appositamente per noi all’indomani del suo primo ascolto del disco nella sala GSU di Lugano con Massimiliano in veste di munifico anfitrione…
di Stefano Crippa
Mattinata uggiosa di un inizio primavera insolitamente freddo nella Capitale, per lo scrivente di bergamasche origini una manna e non me ne vogliate amanti del caldo e delle temperature tropicali… Lavoro di preparazione in redazione per il giornale ancora in fieri: consultazione dei quotidiani, uno sguardo alla stampa estera e poi mail, social, comunicati stampa, telefonate. Già telefonate, arriva la chiamata attesa dalla Sony: “Ciao Stefano, giovedì della prossima settimana presentiamo il disco nuovo di Mina, ma questa volta vorremmo farlo dai suoi studi di Lugano, che ne dici?”. Brividi di freddo: io nella ‘casa’ di Nostra Signora del Canto? Silenzio; non so cosa dire bloccato dall’emozione. Poi subentra la professionalità e rispondo, fingendo aplomb: “Non dovrebbero esserci problemi, fammi sapere se viene tutto confermato”. Rassicurato, abbasso la cornetta. Metabolizzata l’emozione – ebbene sì, si può trepidare come un ragazzino anche over 50 – comincia la fase di preparazione: come organizzarsi, partire per Milano prima? Impossibile, ho mille impegni e devo fare incastrare i miei viaggi con i colleghi. Decido, levataccia all’alba e andata e ritorno sul treno in giornata, con l’idea di scrivere il pezzo sul frecciarossa del pomeriggio. Ma per Mina, questo e altro, mi scivolano addosso anche gli ululati di un gruppo di studenti in gita che pare si siano adunati tutti sulla carrozza sei (la mia…).
L’arrivo in Centrale rasenta la puntualità svizzera; veloce trasbordo alla sede Sony dove ci aspettano le navette per Lugano per poi approdarvi in sessanta minuti. Gimcana intorno al lago dell’opulenta cittadina elvetica mentre il pazzo fan che è in me si immagina le strade dove ogni tanto la Tigre viene braccata da qualche paparazzo, e invece ci si imbatte in una quantità folle di amanti del jogging, tutti in tiro, tutti griffatissimi.
Finalmente si arriva agli studi GSU dove ci aspetta l’ufficio stampa della Sony, Ugo Bongianni defilato tra gli invitati e il padrone di casa, Massimiliano Pani. Non sono studi mastodontici, sono passati i tempi delle grandi sale, il digitale ora presuppone spazi minimi e tanto lavoro – e di scambio di file – tra musicisti e artisti. Buffet pronto con mille delizie, ma non posso resistere: mi infilo nel gruppo della tornata precedente di giornalisti – in tutto saremo tre blocchi che Max ‘affronta’ dalla mattina alla sera – ed entro nella sala dove troneggia il pianoforte appartenuto a Benedetto Michelangeli che Mina e i suoi musicisti si portano dai tempi della Basilica a Milano, uno dei cento esemplari Costum costruiti dalla casa storica. Lo stesso – pensa il fan, ma lo tengo per me – dove Danilo Rea ha registrato i due album di standard più recenti. Uno studio spartano ma bellissimo, costruito con pannelli di legno che arrivano dal tetto perfettamente separato dalla sala con il mixer, e dove fanno bella mostra una serie di strumentazioni vintage – quella antecedente a Rane supreme, alla svolta digitale. C’è anche l’Hammond, il Fender sempre usato da Rea e persino un moog utilizzato da Battisti. E poi al centro il microfono dove la signora incide – sottolinea Max “sulle basi” perché quando si registrano i live in studio “lei si mette nell’altra sala, vicino al mixer, per evitare che rientrino gli strumenti”. Già, ed è proprio qui che in gruppo di otto persone ci accingiamo all’ascolto di Maeba: “Non state dietro, venite davanti perché con questo sistema di amplificazione bisogna stare più al centro possibile”, ci suggerisce Max. E parte l’ascolto guidato – Volevo scriverti da tanto, Il mio amore disperato, e poi il sussulto sulle note di Ti meriti l’inferno: “Federico Spagnoli è un bravo autore, questo è il terzo pezzo che scrive per Mina, è l’ennesima dimostrazione di come lei non guardi in faccia agli autori dei pezzi. Le piace una traccia e la incide”. Il colpo al cuore – che lascia un po’ tutti a bocca aperta è naturalmente Il tuo arredamento: chi si può immaginare una quasi ottantenne misurarsi con un brano poco canonico con arrangiamenti che citano Beatles e Radiohead, con così incredibile nonchalance?
Ci si sofferma sul duetto con Conte: “Ci ha telefonato e le ha proposto la canzone, è stata Mina ha suggerire il duetto”, e sul crepuscolare ed elettronico Un soffio di Boosta: “L’ha preparato qui in sala e poi Mina ha cantato”. Spuntano i telefonini, qualche selfie con Max – io non oso tanto, mi è bastato fare qualche scatto (malissimo) prima di ascoltare il disco. Mi alzo e mi accorgo che sulla spalliera c’è – fermata con una spilla da balia, una pezza fatta di un diverso tessuto di un altro colore: “Non è un rammendo – mi indica Max – sono i resti di altre poltroncine che ci portiamo dietro dai tempi della Basilica. Qui si siede Mina di solito”. Quasi svengo…
Poi – mentre attendiamo i transfer per il ritorno – gita negli uffici, qualche fotografia riporta alla mente luoghi, la Basilica, i vecchi studi GSU dove giusto diciassette anni fa veniva realizzato il documentario live in studio, e poi un bellissimo cartonato con la Mina più smagliante e sexy della sua ‘prima vita’… Qualche scambio di battute sui destini dell’industria discografica, e poi via, è ora di tornare a Milano e – per il sottoscritto – a Roma dove mi aspetta un reportage in tempi strettissimi – sul frecciarossa. Ma questa è un’altra storia.
Commenti recenti